Teologia e politica nella musica sacra anglicana

16.05.2023

Dopo l'articolo sull'excursus storico a partire dal protagonismo dell'organo, (che puoi leggere qui: il re o il sacerdote degli strumenti?), la recente cerimonia di incoronazione di Carlo III, uno "spettacolo" seguito da milioni di persone in tutto il mondo, offre l'occasione per qualche altra riflessione sul rapporto tra musica e rito nella chiesa anglicana che può essere di una qualche utilità anche per il mondo musicale cattolico.

Rinnovare un rito antico con la musica…

Anche se il rito è stato giudicato anacronistico e dal sapore medioevale – ma chi ha assistito anche recentemente all'ordinazione di un vescovo cattolico avrà riscontrato qualche analogia – nell'incoronazione di Carlo III sono state inserite alcune significative innovazioni.

Per quanto riguarda il programma musicale, ad esempio, accanto ai più tradizionali inni inglesi, quelli che da generazioni accompagnano i sovrani nelle manifestazioni ufficiali, sono stati commissionati ben dodici brani nuovi (sei orchestrali, cinque corali, uno per organo) tra cui l'inno celebrativo che porta la firma di sir Andrew Lloyd Webber, un musicista noto che non è un compositore di "musica sacra" anche se a lui si deve il leggendario Jesus Christ Superstar (che comunque non è un'opera "liturgica" anche se qualche aria è stata introdotta nelle celebrazioni eucaristiche cattoliche) e musical come Evita, Cats o Il Fantasma dell'Opera.

L'inno di Lloyd Webber, come tutte le altre nuove composizioni, erano tutte musicalmente di alto livello artistico (tanto che la prestigiosa etichetta discografica Decca Classics ha reso disponibili le registrazioni che hanno accompagnato le 4 ore e mezza della cerimonia la sera stessa dell'incoronazione: un fatto senza precedenti nella storia della musica registrata, frutto di un ingegnoso intreccio di tecniche di registrazione e software) e ben si sono integrate con gli altri inni sacri di tradizione anglicana, latina e greco-ortodossa in un rito religioso un po' fuori del tempo ma ugualmente capace di affascinare anche per la bellezza della musica che ne ha scandito i momenti salienti.

Certamente il re può permettersi il meglio e non solo per quanto riguarda i compositori ma anche per gli interpreti: tutti professionisti che si esibiscono normalmente nei principali teatri nel mondo a partire da sir Antony Pappano che era alla direzione della Royal Opera House di Londra.

In ambito cattolico non succede la stessa cosa. O almeno, non succede più. E il motivo non è la presenza o meno della monarchia. Il punto è che, in questi anni, i compositori professionisti si sono allontanati dalla musica per la liturgia e sulla preparazione dei musicisti di chiesa (quasi) nessuno ha investito con il risultato che nelle celebrazioni liturgiche (dalle messe nelle parrocchie sino alla "solenne cerimonia di inaugurazione del pontificato" che, di fatto, ha sostituito la mai abolita cerimonia di incoronazione del papa) si ascolta della musica di qualità quanto meno discutibile.

Del resto, oggi come in tutta la storia della musica e non solo, il tipo di rapporto che si stabilisce tra l'arte e i suoi mecenati è uno dei fattori determinanti per la creatività e la diffusione della cultura. Nel caso specifico della musica nella chiesa anglicana è sempre stato decisivo lo stretto legame con le vicende della corona inglese.

Una musica con più politica che teologia…

La distanza geografica e culturale dal continente ha fatto sì che la tradizione musicale nelle isole britanniche si sia sviluppata secondo tendenze in buona parte originali e autonome. Le peculiarità della pratica inglese sono emerse ancor più dopo l'instaurazione della Riforma anglicana che implicherà la creazione di forme musicali specificamente dedicate a questo rito.

È notorio che la riforma anglicana sia maturata nel più ampio contesto della Riforma protestante europea e che ebbe origine più come una questione politica che come una disputa teologica.

Il distacco dalla Chiesa di Roma sancito con una serie di Atti del Parlamento tra cui l'Atto di Supremazia del 1534 con cui si dichiarava il re Enrico VIII "Capo Supremo in terra della Chiesa d'Inghilterra" trasformò completamente il quadro musicale inglese. Fautore della politica ecclesiastica del sovrano fu lo stesso arcivescovo di Canterbury, Thomas Cranmer che, pochi anni dopo, dettò le regole della nuova liturgia con la stesura del Book of Common Prayer (Libro delle preghiere comuni) che è il testo di riferimento della Chiesa d'Inghilterra. A differenza delle altre confessioni cristiane, la chiesa anglicana non ha storicamente ritenuto opportuno redigere un catechismo o un ordinamento dottrinale sistematico per uniformare la pratica religiosa ma attenersi unicamente alla liturgia nella sua concretezza. Pratiche musicali comprese.

Se si vuole identificare un tratto distintivo della musica anglicana è la sua stretta dipendenza dall'orientamento confessionale e dalla politica dei sovrani. Soprattutto la musica liturgica anglicana non rispecchiava (solo) posizioni teologiche ma dipendeva dai gusti musicali dei sovrani e da questioni diplomatiche ed economiche. Nella pratica inglese si affermò la sobrietà tipica delle chiese protestanti finalizzata alla intelligibilità del testo, soprattutto sostituendo il latino con l'inglese per favorire la partecipazione. Si venne così a creare quella specialissima commistione di solennità regale e sobrietà evangelica, di pompa e immediatezza che ancora sopravvive.

Inoltre, si può dire che ogni monarchia affida la propria esistenza anche ad una propria impronta musicale e poiché alcuni dei più importanti governanti dei primi secoli della riforma anglicana erano personalmente favorevoli alla musica e spesso decisamente melomani, la musica godette di una particolare epoca di splendore sotto il regno di Enrico VIII che, a dire di Erasmo, era lui stesso un compositore e di Elisabetta I che, avendo intuito la potenza simbolica della musica, adottò uno stile liturgico simile a quello cattolico per impressionare i visitatori stranieri.

Non stupirà quindi notare che, nonostante l'intransigenza del movimento riformista, i più famosi compositori inglesi di musica sacra, Thomas Tallis e William Byrd, erano cattolici e, specie nel clima di tolleranza instaurato da Elisabetta I, poterono continuare a scrivere musica anche per il loro credo di appartenenza.