La leggenda della Missa Papae Marcelli di Palestrina
Pierluigi da Palestrina (1525-1594) godette di una grande stima e apprezzamento già in vita, ma il suo nome e una sua opera, la Missa Papae Marcelli, sono entrate nella leggenda perché si ritiene che abbiano salvato la musica sacra che stava per essere bandita dalle chiese cattoliche.
Erano gli anni difficili del Concilio di Trento (1545-63), il Concilio che affrontò la riforma protestante e diede il via alla controriforma (e riforma) cattolica. I Cardinali al Concilio si occuparono soprattutto delle gravi questioni teologiche ed ecclesiali che aveva sollevato la controversia protestante. Le questioni musicali furono affrontate solo nelle ultime sessioni e riguardavano due ambiti. Il primo era relativo alla lingua da utilizzare dato che i protestanti avevano abolito l'uso del latino per adottare le lingue nazionali. Su questo punto i Cardinali non ebbero alcun dubbio e confermarono l'uso del latino come lingua "sacra". Il secondo ambito era relativo allo stile musicale e il Concilio intervenne per condannare gli "abusi" dello stile troppo elaborato delle composizioni barocche del tempo che mettevano in secondo piano il testo privilegiando il virtuosismo della composizione con musiche complicatissime, estremamente sfarzose, in cui i testi liturgici erano incomprensibili data la sovrapposizione delle numerose linee vocali e l'abbondanza degli abbellimenti. Al corale in lingua tedesca dei protestanti, i cattolici opponevano la monodia gregoriana in latino e questo favorì l'idea che i Padri conciliari stessero per bandire anche la polifonia dalle chiese. Ed è a questo proposito che si sviluppa la leggenda che attribuisce alla Missa Papae Marcelli di Palestrina il merito di aver salvato la musica polifonica. Si narra infatti che la Missa Papae Marcelli sarebbe stata composta da Palestrina appositamente per il Concilio e che venne eseguita di gran fretta, all'ultimo momento utile, al cospetto dello stesso papa Pio IV e ad alcuni membri del Concilio, per convincere i padri conciliari a non bandire la polifonia dalla liturgia cattolica e a dimostrare che la musica polifonica manteneva la chiarezza del testo sacro e poteva essere compatibile con le esigenze liturgiche del Concilio accanto al gregoriano.
Il dibattito musicale – se mai ci fu – vedeva confrontarsi una idea di musica come arte dotata di autonomia suprema e un'altra che vedeva la musica come una "disciplinata ancella al servizio del culto". Da questa idea che risultò vincente, venne coniata la definizione della musica come "ancilla Dei" (ancella divina), un'espressione che rimarrà come un marchio indelebile per secoli.
In realtà, i Cardinali non stavano per bandire la polifonia in quanto tale. Sicuramente l'intenzione di Trento era quella che ogni cosa venisse "chiaramente ed opportunamente pronunciata (...) in modo tale che le parole siano percepite chiaramente da tutti". Per i Cardinali riuniti in Concilio, la musica doveva avere un fine edificatorio e "non deve essere composta per un vacuo diletto delle orecchie" ma perché "gli ascoltatori siano conquistati dal desiderio delle armonie celesti e dal gaudio della contemplazione dei beati". Queste caratteristiche furono individuate nello stile della Missa Papae Marcelli di Palestrina (che nella sua carriera compose 104 messe mettendo in musica il testo liturgico) e lo stile palestriniano divenne il modello per la musica sacra polifonica.
Cosa ha di particolare la Missa Papae Marcelli e perché viene collegata alla "salvezza" del canto polifonico?
Se si verificano i dati storici non vi sono molti collegamenti dato che il Papa della Messa di Palestrina è Marcello II, al secolo cardinale Marcello Cervini, eletto papa nel 1555. Un papa che regnò per sole tre settimane mentre la Messa fu e pubblicata molto più tardi nel 1567 e, secondo la leggenda, fu composta nel 1562, per i Padri del Concilio. C'è da pensare che la Missa Papae Marcelli non sia una Messa "per" papa Marcello, ma una Messa composta "secondo le indicazioni" di Papa Marcello.
Infatti, durante la cerimonia per l'elezione al pontificato del cardinale Cervini, i musicisti, tra i quali sicuramente anche Palestrina, ritennero di dover sfoggiare il repertorio più sfavillante, nell'intento di fare buona impressione sul nuovo papa, ma ottennero l'effetto contrario perché il pontefice rimproverò i cantori per aver cantato "con letizia ed in modo ampolloso" la passione di Cristo e ricordò ai musicisti che i canti dovevano "audiri atque percipi, essere ascoltati e compresi".
Se durante il Concilio, alcuni Cardinali pensarono di riportare il canto liturgico all'esclusiva monodia gregoriana per una maggior comprensibilità del testo, il Concilio scelse di bandire solo gli abusi della polifonia e i testi profani ma che Palestrina, colpito dalle parole del papa, avesse subito scritto una messa nuova di zecca, è soltanto una leggenda. Risulta invece, che il 28 aprile 1565 alcuni cantori della Cappella pontificia furono convocati in casa del cardinale Vitellozzo Vitelli per eseguire alcune messe, al fine di verificarne la comprensibilità delle parole. Quali e quante messe furono effettivamente eseguite non è noto; si sa comunque che in un documento dell'archivio della Cappella Pontificia risulta che tra le Messe eseguite in quella circostanza ce ne furono anche due di Palestrina, la Missa Benedicta es e, appunto, la Missa papae Marcelli della quale non vi è una datazione certa di composizione che potrebbe risalire verso il 1562 quando fu copiata in un manoscritto conservato nella basilica di Santa Maria Maggiore a Roma. La Messa fu pubblicata 13 anni dopo la morte del papa e sarebbe stata dedicata a Filippo II di Spagna, presso la cui corte Palestrina sperava di essere assunto. Una ulteriore conferma che non si trattava di una Messa per papa Marcello, ma della Messa di papa Marcello, ovvero la messa come avrebbe dovuto essere cantata secondo i dettami di quel pontefice.